I precari della pubblica amministrazione (inclusi enti di ricerca e atenei) con un contratto a tempo determinato, alcuni dei quali in attesa di stabilizzazione, sono considerati quasi dei “non precari”. Godono infatti di (quasi) tutti i diritti dei dipendenti di ruolo: ferie, malattie, tredicesima, contributi, tfr… Eppure qualcuno di loro ha provato a chiedere un mutuo, oppure un prestito agevolato all’Inpdap (l’Inps del pubblico impiego) e gli è stato negato. Per chiedere un mutuo l’Inpdap chiede 3 anni di contratto a tempo indeterminato. Ma chi paga queste “agevolazioni”? Con quali soldi si forma il “fondo credito” che serve ad avere rate di mutuo più basse rispetto al mercato bancario? Con i soldi di tutti: anche dei precari con contratto a tempo determinato, che a quei fondi non possono accedere.
Sull’argomento si può leggere un articoletto dall’ultimo numero del Foglietto di Usi/RdB ricerca:
La ritenuta in busta paga è la stessa, ed è pari allo 0,35% degli emolumenti, ma le prestazioni sono diverse. E’ questo l’incredibile trattamento che l’Inpdap riserva a quanti alimentano il Fondo Credito. Mentre il personale di ruolo può
accedere al “piccolo prestito”, a quelli “pluriennali” e ai “mutui” per acquisto casa, quello non di ruolo si deve accontentare solo del primo. Si tratta di una grave discriminazione caratterizzata da una palese disparità di trattamento che ha indotto Usi/RdB a scrivere al presidente dell’ente previdenziale. Delle due l’una: o si riduce drasticamente l’ammontare della ritenuta del personale non di ruolo oppure si estendono tutte le prestazioni anche ai lavoratori precari.
16 luglio 2010 alle 9:24 am |
mi sembra davvero un paese assurdo il nostro