Caro Presidente

Oggi il presidente della repubblica Napolitano è in visita all’università. Studenti e ricercatori precari cercheranno di consegnare una lettera al presidente, che pubblichiamo di seguito:

LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA GIORGIO NAPOLITANO

Siena, lì 11 giugno 2007

Egregio Presidente,

chi le scrive è un coordinamento di studenti e ricercatori precari dell’Università di Siena che da mesi ha avviato un percorso di analisi e riflessione sulle attuali condizioni dell’università italiana.
Cogliamo l’occasione della sua presenza a Siena, e della sensibilità che ha sempre mostrato per i temi che affrontiamo, per scriverle questa breve lettera. La nostra speranza è che possa interessarla il punto di vista di chi vive dall’interno gli esiti di riforme decise altrove, in questo caso da quell’Unione Europea di cui oggi a Siena si celebra il cinquantenario.


Come naturalmente Lei sa, l’attuale assetto dell’università italiana è il frutto del processo europeo in materia definito nel giugno del 1999 con la cd. Dichiarazione di Bologna. In quella sede venne infatti concordata l’armonizzazione del sistema formativo universitario, da realizzare con l’adozione generalizzata da parte dei paesi membri del sistema anglosassone (ovvero il 3+2, con due cicli formativi distinti: laurea triennale di base e biennio specialistico) e di criteri di certificazione comparabili tra i paesi della UE (i crediti, poi ECTS).
A partire da Bologna, ma già con il conferimento dell’autonomia nel corso degli anni ’90, si è venuta inoltre delineando una gestione delle università sul modello delle imprese, con particolare attenzione ai concetti di certificazione, efficienza e valutazione della qualità dell’operato dei docenti universitari quali criteri per definire l’erogazione dei finanziamenti.
A otto anni dalla Dichiarazione di Bologna, ci appare necessario ed urgente richiamare in causa il processo allora avviato.

Come studenti e come ricercatori precari, infatti, non possiamo non esprimere tutto il nostro disagio di fronte all’attuale funzionamento dell’università italiana. Le condizioni di studio e di lavoro sono drasticamente peggiorate. Il sistema del 3+2 si è tradotto in una moltiplicazione indiscriminata degli esami universitari; i corsi, a loro volta, risultano spesso frammentati in moduli e sottomoduli, con una concentrazione delle ore di lezione che non consente allo studente quel necessario rapporto diluito nel tempo con una disciplina. La conseguenza è una didattica che spesso fornisce un sapere fatto essenzialmente di nozioni, un sapere frammentato nel quale i nessi, i problemi, i metodi sono accantonati. In luogo della formazione di saperi critici, unica via per la formazione di cittadini liberi e consapevoli, sembra che l’unico obiettivo sia dispensare crediti, diplomi, lauree e altri titoli, a partire dai numerosissimi master, spesso ormai necessari per un mercato del lavoro (pubblico e privato) nel quale la sola laurea non vale più niente.
Sembra ormai che la principale missione delle università sia quella di porsi sul mercato della formazione, con una logica analoga a quella delle imprese, per le quali l’obiettivo principale è il cost effective. Di conseguenza, anche il corpo docente è sempre più considerato in termini di costo del lavoro: la selvaggia precarizzazione dei giovani ricercatori (ma anche l’esternalizzazione di molti servizi, dalle biblioteche alle mense) ne è forse l’effetto più nefasto. E’ questo un punto sul quale non si può continuare a far finta di niente, come continua a fare invece l’attuale Governo nonostante promesse e programmi ad oggi rimasti sulla carta.

Egregio Presidente, sa quanto guadagnano ad esempio i docenti a contratto, ai quali è affidata talora anche più del 50% della didattica? Nei casi migliori, mille-duemila euro l’anno, senza nessun diritto sindacale. Che senso ha continuare a parlare della ricerca come risorsa strategica del paese, quando poi larga parte dell’attività formativa universitaria (e della ricerca) è svolta da giovani precari che hanno livelli di retribuzione al di sotto di qualsiasi livello di decenza e per i quali non esiste nessuna seria programmazione ordinaria del reclutamento?
Noi non crediamo che quanto abbiamo lamentato sia frutto di una cattiva applicazione del sistema o di distorsioni corregibili in itinere. Ci sembra, purtroppo, che il problema sia alla radice, ovvero nella stessa logica che sottende la Dichiarazione di Bologna. Una logica che vede ormai anche la cultura come merce. Non a caso, nella premessa alla Dichiarazione citata, venivano espresse le preoccupazioni a monte del processo di riforma che si voleva avviare: “accrescere la competitività internazionale del sistema europeo dell’istruzione superiore” in termini di capacità attrattiva, anche di studenti extraeuropei, e creare una struttura universitaria funzionale alle esigenze –secondo gli obiettivi espressi a Lisbona nel 2000- di fare diventare quella europea “l’economia della conoscenza più competitiva e dinamica al mondo”.
Insomma, caro Presidente, le riforme che hanno modellato l’università italiana non si sono mosse né dai diritti degli studenti ad avere una didattica di qualità e un reale diritto allo studio, né dai diritti dei giovani ricercatori a poter lavorare con –quantomeno- condizioni salariali accettabili e diritti sindacali dignitosi. Né tali riforme sembrano avere minimamente adottato il principio della formazione come “bene comune”. Il criterio orientativo sembra piuttosto essere stato quello dell’assunzione del sapere come merce (o come strumento per produrre merci), in un contesto di competizione internazionale volto a salvaguardare il benessere delle società occidentali. Un benessere apparente, che riguarda solo alcune parti della società: la precarizzazione del lavoro e lo smantellamento dei servizi sociali sono l’altra faccia della stessa medaglia.
La crescita della ricerca come delineata a Bologna e Lisbona non ha obiettivi di miglioramento delle condizioni sociali generali, ma solo di incremento di un profitto che continuerà a riguardare pochi beneficiari.

Caro Presidente, convinti di trovarla sensibile all’importanza di difendere e sostenere la promozione di un sapere non asservito alle logiche di mercato, ma che conservi la sua funzione di promozione reale del benessere sociale collettivo, ci auguriamo che quanto le scriviamo possa in qualche modo stimolarla a promuovere una riflessione aperta su questi temi.

Con i nostri migliori saluti,

Studenti e ricercatori precari
dell’Università di Siena
(Laboratorio Saperi Precari)

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